C’è stato un tempo in cui misuravo il trascorrere delle ore, e dei giorni, suddividendole in quelle liete con la mia famiglia e in quelle spese e basta, in cui dovevo starne lontana. Attenzione non era la lontananza a determinare “lo speso male”, ma il fatto di sapere di non poterci essere mai nella quotidianità della settimana, dalla mattina alla sera. Ne ho sofferto tantissimo. Poi quel tempo me lo sono ripresa e ho iniziato a goderne davvero. C’è solo voluto tempo ed è stato esso stesso a parlarmi e a chiedermi di ritornare ad essere padrona di me, dando ascolto a ciò che sentivo come prioritario per la mia felicità. 

Per “sopravvivere” in quel tempo del prima mi davo degli appuntamenti, durante qualche pausa pranzo della settimana lavorativa, con piccole “futilità” per me o per la mia famiglia che diventavano motivo di sorrisi, di ricordi lieti, gioie quindi. Che so un nuovo libro per l’ora della buonanotte con il mio piccolo, una agenda sulla quale scrivere l’elenco dei motivi per cui ringraziare comunque il giorno appena trascorso, anche se distante da come avrei voluto impiegarne le ore. Appuntare con una matita, per migliorare un po’ la grafia (che ormai non si scrive nulla a mano e non ne sono più tanto capace), alcune riflessioni: ho realizzato infatti che la nostalgia non fa male se riporta alla mente vecchie tradizioni che possono diventare nuove per le persone che oggi colorano la nostra vita. Che si lavora per vivere ma non si vive per lavorare. Che le giornate più belle sono quelle dai programmi improvvisati, in cui fermarsi mezzora in più al parco giochi non vuole dire fare tardi, ma piuttosto riempirsi gli occhi di altri sorrisi. Che le piccole cose sono tutto perché è grazie a loro se i ricordi si riempiono di profumi, voci e colori. 

Oggi posso affermare con certezza, e con un pizzico di commozione, che da quel seme che piano piano si è fatto spazio nel mio cuore – silenzioso e paziente – sia germogliato questo progetto che non poteva che portare come nome Petites Joies